Capitale umano e impresa: l’impulso competitivo della Responsabilità Sociale

Parlare di responsabilità sociale d’impresa (RSI) significa senza dubbio, specialmente in un periodo di forte competizione delle organizzazioni sui mercati internazionali, approfondire l’approccio dell’azienda ai propri portatori di interesse interni. Essi infatti costituiscono il vero e proprio motore della competitività aziendale e del valore generato dai prodotti e servizi sul mercato.

Chiare e strutturate politiche ed iniziative di responsabilità sociale possono apportare benefici al valore competitivo del fare impresa, in relazione ai rapporti che l’organizzazione intrattiene con i propri principali stakeholder interni, quali dipendenti e collaboratori. Essi costituiscono  il capitale umano, ovvero quell’insieme di abilità, conoscenze, competenze  e professionalità che distingue e caratterizza le persone che nelle organizzazioni lavorano.

Valorizzare questi elementi significa per l’impresa acquisire un vantaggio competitivo rispetto alle organizzazioni che invece non hanno ancora compreso l’importanza delle abilità delle risorse umane nella creazione di valore aziendale sul mercato.
Diversi studi dimostrano infatti come al giorno d’oggi il valore di mercato di una impresa sia determinato per il 75% da elementi intangibili, quali la reputazione e l’immagine aziendale, i know-how e i brevetti che dipendono direttamente dai livelli di eccellenza e dalle abilità delle persone che lavorano in azienda.
Appare quindi chiaro che le risorse umane costituiscono una variabile decisiva nel successo aziendale, da valorizzare e coordinare efficacemente, affinché l’impresa possa davvero operare al meglio e in modo incisivo sul mercato.

La nozione di impresa a cui spesso rimandiamo è quella di un tutto unitario “che vive”, composta da singole e fondamentali cellule che, operando insieme, sono garanti del suo funzionamento ottimale.
In quest’ottica è logico considerare che, come il corpo umano necessita della perfetta sinergia dei vari organi che lo formano per “stare bene”, così anche l’impresa, per operare al meglio ed efficacemente nell’ambiente esterno ad essa, ossia il mercato, necessita del perfetto coordinamento dei vari soggetti interni che la compongono, i cosiddetti stakeholder interni (i dipendenti, i collaboratori, i manager che governano).

Questi si trovano quotidianamente ad interagire in un continuum relazionale dove la cooperazione risulta fondamentale affinché il valore delle relazioni possa essere massimo e produrre l’obiettivo aziendale desiderato. I costi di transazione tra i vari gruppi di stakeholder interni (specialmente le tensioni che si possono creare tra dipendenti e vertici aziendali, che gestiscono l’impresa per conto della proprietà) portano così ad un’inefficienza della macchina impresa, che risulta mal funzionante poiché i diversi “organi interni” non operano in sinergia ma, anzi, creano vicendevoli contrasti.

Risulta quindi fondamentale raggiungere l’obiettivo dello scambio cooperativo dei vari soggetti che operano all’interno dell’impresa.

In quest’ottica politiche strategicamente responsabili risultano lo strumento efficace per attivare processi virtuosi, mediante i quali viene massimizzata la cooperazione delle differenti “cellule” e quindi il surplus cooperativo, ovvero il valore totale delle azioni dei singoli.

Chi dirige e governa i meccanismi alla base delle relazioni tra le persone che “vivono” l’impresa, per l’impresa e nell’impresa, lo human resource manager, i direttori del personale, hanno quindi un ruolo strategico nella creazione del valore aziendale interno. Un valore che si rifletterà, poi, nelle attività, nelle relazioni, nei prodotti e nei servizi offerti dall’impresa, sul mercato.

Andiamo ora ad analizzare più nel dettaglio i vantaggi per l’organizzazione che, adottando politiche di RSI, valorizza i propri stakeholders interni:

  • Miglioramento del clima aziendale e del senso di appartenenza, rendendo quindi più efficace e produttivo il lavoro del personale, attraverso l’allineamento dei loro singoli obiettivi alla mission e vision aziendale.
  • Motivazione e soddisfazione del personale, con conseguente aumento della sua produttività.
  • Maggiore capacità dell’impresa di attirare personale di valore, poiché i migliori talenti sul mercato tendono a preferire ambienti lavorativi in cui risultano massime le condizioni tese a favorire il loro potenziale, come tendono ad evidenziare anche i recenti studi in ambito di selezione delle risorse umane.
  • Maggiore efficienza dei sistemi di raccolta delle informazioni, creando nuovi e semplici indicatori interni o predisponendo nuove modalità più efficaci di interpretazione di quelli già esistenti. Questi nuovi modelli di analisi aiutano a comprendere ed interpretare lo stato del clima aziendale interno e, quindi, incentivano l’impresa a monitorarlo costantemente per favorire la massima espressione del potenziale delle risorse umane e per ottenere da loro la massima efficienza.
  • Maggior sensibilità del management nei confronti delle esigenze dei singoli portatori di interesse e calo dei contrasti tra il top management ed i collaboratori stessi.
  • Sviluppo di molteplici asset intangibili, che concorrono ad implementare il capitale intellettuale dell’azienda.

In relazione a quest’ultimo punto, è interessante notare come politiche di RSI siano sensibilmente connesse al tema dello sviluppo degli asset intangibili. Negli ultimi anni del XX secolo si è verificata una radicale evoluzione strutturale nelle funzioni produttive aziendali con riferimento agli asset principali che creano valore e crescita nell’impresa. Da un sistema di capitalismo industriale, dove il business dipendeva prevalentemente dagli asset tangibili, fisici e finanziari (materie prime, macchinari, impianti, terreni, ecc…), si sta assistendo ad una transazione verso un sistema, la cosiddetta economia della conoscenza (knowledge economy), dove la produzione dei beni e servizi, molti dei quali intangibili, è caratterizzata sempre più dalle risorse invisibili cui le organizzazioni hanno accesso.

E’ ormai riconosciuto che proprio gli asset intangibili contribuiscono a creare un’ampia quota del valore reale per l’impresa e a generare significativi benefici futuri. Da un’indagine compiuta da Margaret Blair della Brookings Institution è emerso che nel 1982 il rapporto tra il patrimonio tangibile delle società industriali costituito da proprietà immobiliari, stabilimenti ed attrezzature in rapporto al loro valore complessivo di mercato era pari al 62,3 %. Dieci anni dopo tale percentuale era già scesa al 37,9%.

Nello stesso periodo, parallelamente all’importanza acquisita dagli intangibles, è cresciuta la consapevolezza della complessità e consistenza dell’impatto sociale e ambientale dello sviluppo e della globalizzazione (multinazionali, ecc.) e per contrastare il crescente impoverimento di risorse e di qualità della vita si è introdotto il concetto di sviluppo sostenibile e triple bottom line e, successivamente, quello di Corporate Social Responsibility (CSR), che è indubbiamente un importante elemento strategico aziendale, fortemente interconnesso con gli intangibles.

Le politiche di RSI possono infatti essere un efficace strumento per valorizzare ed implementare l’asset intangibile della conoscenza, del capitale umano e dei know-how codificati nelle stesse strutture organizzative aziendali e, conseguentemente, il valore finale dei prodotti/servizi posizionati sul mercato.

In conclusione è giusto ritenere la responsabilità sociale d’impresa come un driver strategico per la valorizzazione del capitale umano delle aziende, oggi quanto mai importante per il successo competitivo delle organizzazioni. In quest’ottica i top-manager, gli human resource manger e chi gestisce e coordina le risorse umane nell’impresa , infatti, dovrebbero farsi promotori di strategie di RSI, da diffondere tramite approcci top-down (dall’alto verso il basso) all’intera struttura aziendale. In questo modo le strategie di RSI assumerebbero una forza ed una incisività che altrimenti non potrebbero avere se le iniziative partissero dai livelli più bassi dell’organizzazione.

La nozione di impresa a cui spesso rimandiamo è quella di un tutto unitario “che vive”, composta da singole e fondamentali cellule che, operando insieme, sono garanti del suo funzionamento ottimale.

In quest’ottica è logico considerare che, come il corpo umano necessita della perfetta sinergia dei vari organi che lo formano per “stare bene”, così anche l’impresa, per operare al meglio ed efficacemente nell’ambiente esterno ad essa, ossia il mercato, necessita del perfetto coordinamento dei vari soggetti interni che la compongono, i cosiddetti stakeholder interni (i dipendenti, i collaboratori, i manager che governano).

Questi si trovano quotidianamente ad interagire in un continuum relazionale dove la cooperazione risulta fondamentale affinché il valore delle relazioni possa essere massimo e produrre l’obiettivo aziendale desiderato. I costi di transazione tra i vari gruppi di stakeholder interni (specialmente le tensioni che si possono creare tra dipendenti e vertici aziendali, che gestiscono l’impresa per conto della proprietà) portano così ad un’inefficienza della macchina impresa, che risulta mal funzionante poiché i diversi “organi interni” non operano in sinergia ma, anzi, creano vicendevoli contrasti.

Appare quindi chiaro e fondamentale raggiungere l’obiettivo dello scambio cooperativo dei vari soggetti che operano all’interno dell’impresa.

In quest’ottica, politiche strategicamente responsabili risultano lo strumento efficace per attivare processi virtuosi, mediante i quali viene massimizzata la cooperazione delle differenti “cellule” e quindi il surplus cooperativo, ovvero il valore totale delle azioni dei singoli.

Andiamo ad analizzare più nel dettaglio i vantaggi per l’impresa che, adottando politiche di RSI, valorizza i propri stakeholders interni:

  • Miglioramento del clima aziendale e del senso di appartenenza, rendendo quindi più efficace e produttivo il lavoro del personale, attraverso l’allineamento dei loro singoli obiettivi alla mission e vision aziendale.
  • Motivazione e soddisfazione del personale, con conseguente aumento della sua produttività.
  • Maggiore capacità dell’impresa di attirare personale di valore, poiché i “cervelli migliori” tendono a preferire ambienti lavorativi in cui risultano massime le condizioni tese a favorire il loro potenziale.
  • Maggiore efficienza dei sistemi di raccolta delle informazioni, creando nuovi e semplici indicatori interni o solamente predisponendo nuove modalità più efficaci di interpretazione di quelli già esistenti, per capire lo stato del clima interno e, quindi, monitorarlo costantemente per favorire la massima espressione del potenziale delle risorse umane e, quindi, per ottenere da loro la massima efficienza.
  • Maggior sensibilità del management nei confronti delle esigenze dei singoli portatori di interesse, e calo dei contrasti tra il top management ed i collaboratori stessi.
  • Sviluppo di molteplici asset intagibili, che vanno ad implementare il capitale intellettuale dell’azienda.

Tenendo presente l’ultimo punto, è interessante notare come politiche di RSI siano sensibilmente connesse al tema dello sviluppo degli asset intagibili. Negli ultimi anni del XX secolo si è verificata una radicale evoluzione strutturale nelle funzioni produttive aziendali con riferimento agli asset principali che creano valore e crescita nell’impresa. Da un sistema di capitalismo industriale, dove il business dipendeva prevalentemente dagli asset tangibili, fisici e finanziari (materie prime, macchinari, impianti, terreni, ecc…), si sta assistendo ad una transazione verso un sistema, la cosiddetta economia della conoscenza (knowledge economy), dove la produzione dei beni e servizi, molti dei quali intangibili, è caratterizzata sempre più dalle risorse invisibili cui le organizzazioni hanno accesso. E’ ormai riconosciuto che proprio gli asset intangibili contribuiscono a creare un’ampia quota del valore reale per l’impresa e a generare significativi benefici futuri. Da un’indagine compiuta da Margaret Blair della Brookings Institution è emerso che nel 1982 il rapporto tra il patrimonio tangibile delle società industriali costituito da proprietà immobiliari, stabilimenti ed attrezzature in rapporto al loro valore complessivo di mercato era pari al 62,3 %. Dieci anni dopo tale percentuale era già scesa al 37,9%. Nello stesso periodo, parallelamente all’importanza acquisita dagli intangibles, è cresciuta la consapevolezza della complessità e consistenza dell’impatto sociale e ambientale dello sviluppo e della globalizzazione (multinazionali, ecc.) e per contrastare il crescente impoverimento di risorse e di qualità della vita si è introdotto il concetto di sviluppo sostenibile e triple bottom line e, successivamente, quello di Corporate Social Responsibility (CSR), che è indubbiamente un importante elemento strategico aziendale, fortemente interconnesso con gli intangibles. Le politiche di RSI possono infatti essere un efficace strumento per valorizzare ed implementare l’asset intangibile della conoscenza, del capitale umano e strutturale e, conseguentemente, il valore finale dei prodotti/servizi dell’impresa.

È necessaria un’ultima considerazione riguardante il vertice aziendale. I top-manager, infatti, dovrebbero farsi promotori di strategie di CSR, da diffondere tramite approcci top-down all’intera struttura aziendale. In questo modo le strategie di RSI assumerebbero una forza ed una incisività che altrimenti non potrebbero avere se le iniziative queste partissero dai livelli più bassi dell’organizzazione.

In ultima analisi concludiamo dicendo che le politiche di RSI risultano importanti non tanto per innescare il processo decisionale (lo step iniziale dipende infatti dalla qualità professionale del CdA per essere sviluppato correttamente), quanto piuttosto per ri-alimentarlo, rendendo più efficienti ed efficaci le azioni di indirizzo e di coordinamento strategico, proprie del CdA.

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