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Greenwashing: il nuovo quadro normativo e come riconoscere un’impresa realmente sostenibile

Green marketing e greenwashing

Per rispondere alle esigenze dei consumatori e dimostrare che l’azienda opera secondo principi etici e responsabili, le imprese stanno adottando in maniera crescente campagne di green marketing. Si tratta una strategia di marketing che si concentra sulla promozione e la comunicazione di prodotti e servizi in modo tale da evidenziare i loro benefici ambientali o la ridotta environmental footprint.

È importante notare che il green marketing deve essere basato su affermazioni vere e verificabili, al fine di evitare il greenwashing, cioè la pratica di presentare in modo ingannevole un prodotto o un’azienda come più sostenibili di quanto effettivamente siano.

Le aziende possono adottare diverse strategie di marketing per dare l’idea di un prodotto sostenibile. Tra questi, possiamo menzionare la ridenominazione, il rebranding e il riconfezionamento. I prodotti “greenwashed” possono trasmettere erroneamente l’idea di essere più naturali, sani o privi di sostanze chimiche rispetto ai marchi concorrenti. Molti termini che sembrano sostenibili non hanno alcuna protezione legale e possono essere rivendicati da chiunque e utilizzati per descrivere qualsiasi caratteristica di prodotto.

L’etichettatura verde (Greenlabelling), ovvero la pratica per la quale i “marketers” chiamano qualcosa “verde” o “sostenibile“, o utilizzano parole vaghe o fuorvianti connesse a tematiche di sostenibilità ambientale, sembra essere la forma più diffusa di greenwashing. Ad oggi, ci sono più di 200 etichette ambientali attive nell’UE e più di 450 attive in tutto il mondo; inoltre, ci sono più di 80 iniziative e metodi di rendicontazione ampiamente utilizzati soltanto per le emissioni di carbonio.

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Pertanto, come sottolineato anche dalla Commissione europea, è difficile per i consumatori, le aziende e gli altri attori del mercato dare un senso alle numerose etichette e iniziative ambientali sulle prestazioni ambientali di prodotti, servizi e aziende.

Negli ultimi anni, la Commissione europea ha lavorato per definire un quadro normativo che regolamentasse i green claims e arginasse così il fenomeno del greenwashing.


Quadro normativo

L’11 maggio 2023 il Parlamento europeo ha approvato la nuova proposta di Direttiva sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite (Green Claims Directive). L’obiettivo della normativa è quello di rafforzare i diritti dei consumatori e promuovere pratiche di produzione responsabili dal punto di vista ambientale.

La direttiva vieta le indicazioni ecologiche ambigue o non supportate, come “rispettoso dell’ambiente”, “naturale”, “biodegradabile”, “neutrale per il clima” o “ecologico”, a meno che non siano accompagnate da prove solide.

Inoltre, la norma prevede misure per contrastare l’obsolescenza programmata, limitando gli elementi di progettazione che riducono intenzionalmente la durata o la funzionalità di un prodotto.  

Aldilà della Green Claim Directive, esistono da anni diverse norme e leggi che affrontano la questione delle pubblicità ingannevoli o non veritiere in molti paesi, con l’obiettivo di proteggere i consumatori dalle pratiche pubblicitarie fuorvianti.

A livello europeo, ad esempio, troviamo la Direttiva 2005/29/CE sulla pratica commerciale sleale[1] che vieta le pratiche commerciali ingannevoli, inclusa la pubblicità ingannevole nel settore ambientale, e le Raccomandazione (UE) 2021/2279[2] della Commissione Europea (15 dicembre 2021) sull’uso dei metodi dell’impronta ambientale per misurare e comunicare le prestazioni ambientali del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni.

In Italia, invece, sono vigenti il Codice del Consumo – artt. 18-27 quater (Decreto Legislativo n. 206/2005[3]), che disciplina i diritti dei consumatori e vieta le pratiche commerciali ingannevoli, a tutela specifica al consumatore rispetto alle pratiche ingannevoli (artt. 21, 22 e 23 del Codice de consumo) e alle pratiche aggressive, ed il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale (IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria)[4], che contiene disposizioni etiche per la pubblicità, compresa la pubblicità ambientale. In particolare, all’art. 12, il codice prevede che “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili.

Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono.” L’art. 2598 Codice Civile prevede il “mendacio concorrenziale” che si concretizza quando la condotta dell’imprenditore è tale da “attribuire alla propria imprese o ai prodotti pregi inesistenti”, così come stabilito dal comma 3 della suddetta previsione normativa. L’ipotesi di “mendacio concorrenziale” lede due piani di diritti tra di loro interconnessi: quello dei rapporti tra le imprese e il rapporto della singola impresa con il consumatore.


Capire se un’azienda è sostenibile esclusivamente osservando una confezione del prodotto o ascoltando un claim pubblicitario non è né facile né immediato. Le imprese possono utilizzare diverse strategie di marketing per comunicare i benefici ambientali/sociali di un prodotto ed apparire più sostenibili di quanto realmente siano.

Riconoscere se un’azienda è realmente sostenibile richiede una valutazione approfondita delle sue pratiche, politiche e impegni. È necessario ricercare informazioni sull’azienda attraverso il suo sito web, report o bilanci di sostenibilità, comunicati stampa e altre notizie disponibili su fonti pubbliche. Di seguito si riportano alcuni elementi da tenere in considerazione per comprendere l’autenticità della sostenibilità di un’organizzazione:

  • Dichiarazione di impegni e iniziative: presta attenzione agli obiettivi dichiarati, alle iniziative ambientali e sociali e alle strategie per ridurre l’impatto ambientale che l’azienda si prefigge;
  • Obiettivi misurabili: gli obiettivi di sostenibilità dovrebbero essere specifici, misurabili e realistici. Ad esempio, se un’azienda afferma di voler ridurre le emissioni di CO2, dovrebbe fornire dati concreti su quanto ha effettivamente ridotto nel corso del tempo;
  • Report / Bilancio di Sostenibilità: molte aziende pubblicano rapporti annuali o periodici sulla sostenibilità. Questi documenti dovrebbero includere dati quantitativi sulla riduzione delle emissioni di carbonio, l’uso delle risorse, gli sforzi per ridurre i rifiuti e altre azioni volte a minimizzare i propri impatti e a contribuire allo sviluppo sostenibile.
  • Certificazioni e etichette: alcune certificazioni riconosciute a livello internazionale e attestazioni rilasciate da enti terzi, come le certificazioni ISO per la gestione ambientale o il logo Energy Star, possono indicare un impegno serio verso la sostenibilità. Tuttavia, è importante fare attenzione alle certificazioni create dall’azienda stessa senza verifica indipendente.
  • Trasparenza: un’azienda autenticamente sostenibile sarà trasparente riguardo alle sue pratiche, progressi e sfide. Condividere apertamente informazioni sulla catena di approvvigionamento, sul ciclo di vita del prodotto e su come affrontano i problemi ambientali e sociali è un segno positivo.
  • Coinvolgimento degli stakeholder: un’azienda sostenibile coinvolgerà attivamente i suoi dipendenti, i fornitori, i clienti e altre parti interessate nella sua strategia di sostenibilità. Presta attenzione se l’azienda partecipa a iniziative collaborative e ascolta le opinioni ed esigenze dei propri stakeholder. Se l’azienda redige il report di sostenibilità, le attività di engagement dovrebbero essere riportate al suo interno;
  • Valutazione indipendente: valutazioni da fonti terze indipendenti, come organizzazioni non governative, istituti di ricerca o agenzie di rating sostenibile possono offrire una visione obiettiva delle pratiche dell’azienda. Un’azienda che sottopone il proprio Bilancio di sostenibilità a revisione sarà più affidabile e attendibile in termini di metodologia e informazioni riportate rispetto a un documento che non è stato sottoposto ad Assurance da un ente terzo.
  • Coerenza nel tempo: la sostenibilità richiede un impegno continuo nel tempo. Valuta se l’azienda ha dimostrato costanza nei suoi sforzi sostenibili e se ha migliorato nel tempo anziché limitarsi a iniziative a breve termine.

Nessuna azienda è realmente 100% sostenibile, in quanto è fisiologico generare degli impatti quando si svolgono attività antropologiche. Tuttavia, è possibile fare scelte consapevoli rivolgendosi ad aziende che dimostrano un impegno serio e misurabile per la riduzione di tali impatti e che siano trasparenti nella comunicazione dei risultati raggiunti.

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[1] https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/summary/unfair-commercial-practices.html

[2] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32021H2279

[3]  https://www.codicedelconsumo.it/parte-ii-artt-4-32/

[4] https://www.iap.it/codice-e-altre-fonti/il-codice/.