10 motivi sul perchè la CSR deve essere ancorata ad un nuovo contratto sociale

Il potere dei governi nazionali è in declino; sono emersi nuovi poteri aziendali e il “soft power” che garantiva legittimità ai poteri pubblici e privati sempre più risiede nelle mani di un nuovo gruppo di stakeholder e di milioni di cittadini che utilizzano i social media. Allo stesso tempo, una crisi economica e finanziaria prolungata ha svelato l’erosione della giustizia sociale nei paesi sviluppati, il comportamento sregolato delle istituzioni finanziarie private e un aumento dell’iniquità di reddito. Il contratto sociale, inteso come il tacito accordo sul potere e la giustizia nelle nostre società, comincia a mostrare crepe minacciose. Nei seguenti dieci punti, suggeriamo alcuni motivi per i quali dovremmo iniziare un dibattito pubblico sulla necessità di ripensare  il contratto sociale:

  1. Il “soft power” che garantisce legittimità sta passando di mano.
    Se il contratto sociale è in relazione ad una governance legittima, la legittimità  – la licenza morale ad agire – deriva fondamentalmente dall’opinione pubblica (Habermas).  È l’opinione pubblica che sancisce se un’azione con conseguenze pubbliche, una politica, un’autorità pubblica o un’impresa hanno o meno legittimità. Ai giorni nostri, l’opinione pubblica non è generata unicamente dai media tradizionali ma, sempre più, dai social media, come internet e piattaforme interconnesse (Twitter, LinkedIn, Facebook, blogs, Google+, etc…).
  2. I Social media stanno diventando potenti catalizzatori di partecipazione civica all’agenda pubblica.
    Esiste un nuovo aspetto complementare nella società: i social media si stanno rivelando quale fattore moltiplicatore di partecipazione dei cittadini all’agenda pubblica. Gli ultimi sei mesi ci hanno offerto una molteplicità di esempi: la primavera araba, il movimento 15M in Spagna, le imponenti manifestazioni a Tel Aviv, le recenti rivolte in Inghilterra e la risposta civica a queste. Dunque, ai cittadini si è reso possibile l’intervento nell’agenda pubblica (che va oltre l’agenda politica) come mai prima.
  3. I poteri pubblici stanno mostrando i propri limiti.
    Oggi, i poteri pubblici si stanno riducendo. La maggior parte dei nostri problemi quotidiani (terrorismo globale, climate change, crisi umanitarie, e il problema del debito sovrano in Europa o negli USA) non possono essere affrontati da un singolo stato-nazione. E ciò rimanda al problema dei limiti della democrazia in un mondo globalizzato: per i cittadini è frustrante votare una qualunque opzione politica, sapendo che la capacità dei politici nazionali di risolvere i problemi è gravemente limitata.
  4. Le politiche pubbliche non sono soluzioni universali.
    Inoltre, durante la seconda metà del ventesimo secolo abbiamo imparato che la crescita illimitata del settore pubblico non è la formula magica per risolvere tutti i problemi sociali.  Naturalmente, questo non significa che l’intervento pubblico sia inutile. L’obiettivo principe delle politiche è la libertà, intesa come l’eradicazione di qualsiasi tipo di dominazione da parte di individui sui cittadini loro simili. L’intervento pubblico è, quindi, necessario per aiutare i cittadini a liberarsi delle dominazioni dei privati. Ma è altrettanto necessario prevenire gli abusi pubblici, attraverso una democrazia che sia molto più deliberante e partecipativa.
  5. Il potere delle imprese è in ascesa.
    Mentre i poteri pubblici hanno mostrato i loro limiti, nell’ultima decade il potere delle imprese è andato crescendo, per via della globalizzazione, della deregulation e delle privatizzazioni. Se le corporation di Fortune 500 fossero una singola nazione (dati del 2010), sarebbe la seconda più grande economia al mondo, dopo quella americana, e il suo PIL sarebbe due volte quello della Cina o del Giappone: http://money.cnn.com/magazines/fortune/fortune500/2011/g20_interactive/index.html . E ciò fa emergere un nuovo quesito: nei confronti di chi sono responsabili le multinazionali e il loro nuovo potere globale?
  6. Sta nascendo una nuova normativa sociale del potere aziendale.
    In risposta all’aumento del potere delle aziende globali, è emersa a livello internazionale una nuova tendenza riguardante la normativa sociale delle aziende da parte degli stakeholder. La chiamiamo Sostenibilità, Corporate Social Responsibility, Responsabilità Sociale o Corporate Citizenship. Molte multinazionali hanno iniziato a rispondere alle richieste di responsabilità e trasparenza sulle questioni sociali, ambientali e di governance e dunque rispettano alcuni standard internazionali che implicano un comportamento responsabile, come i dieci principi dell’ UN Global Compact, GRI o  ISO 26000. Questa tendenza annuncia la fondazione di un nuovo paradigma dell’azienda nel 21esimo secolo, quale istituzione economica che ha un impatto positivo sulla società nell’agenda globale. Nonostante questa inclinazione alla responsabilità aziendale attraverso la normativa sociale non sia ancora diventata una pratica mainstream e, cosa importante, le istituzioni finanziarie fino ad ora hanno faticato ad accettarla, essa sottende l’emergere di una nuova categoria di soggetti che garantiscono la legittimità, gli stakeholder toccati dagli impatti sociali e ambientali delle imprese.

  7. Gli investitori istituzionali hanno ottenuto un dominio smisurato all’interno dell’economia globale.
    Le tendenze fino ad ora menzionate, si sono combinate con la crisi economico-finanziaria del 2008, il che adduce più argomenti al favore di un ripensamento del contratto sociale. Abbiamo visto, in questa agitata estate 2011, stati democratici come gli USA, o molti paesi dell’Unione Europea, combattere la bancarotta o il default sotto la pressione ingiustificata di fondi di investimento privati e hedge funds, – con il supporto di agenzie di ratings private. Alla luce della crisi abbiamo realizzato che le condizioni dei mercati finanziari globalizzati, un volume aumentato dei flussi internazionali di denaro rivolti a profitti di breve periodo, e la crescita esponenziale di prodotti finanziari come derivati e futures, hanno dato agli investitori finanziari istituzionali un dominio eccessivo nell’economia globale, che non si era mai visto prima. Di tutti gli spostamenti di potere a cui abbiamo assistito, il più problematico è il comportamento forzato dei poteri democratici, che mettono da parte il loro dovere nei confronti della società di favorire la crescita economica, e cercano di calmare le istituzioni finanziarie private attraverso tagli draconiani alle spese. Presto o tardi, queste istituzioni di investimento privato dovranno adattarsi a nuovi parametri internazionali, standard e codici di condotta, in quanto parte centrale di un nuovo contratto sociale, se vogliono riguadagnarsi la legittimità che hanno perso e la fiducia da parte dell’opinione pubblica.
  8. Le disparità di reddito sono al loro massimo.
    I tagli alle spese e la disoccupazione si sono combinate negli ultimi quattro anni in molti paesi sviluppati, colpendo milioni di persone e causando la più grave disparità di reddito di sempre. In  Spagna, la disoccupazione giovanile è al massimo storico del 46%. Le disparità di reddito negli USA sono ai livelli più alti da quando il Census Bureau ha cominciato a classificare i dati sul reddito delle famiglie dal 1967.  (http://www.economyincrisis.org/content/income-inequality-america-continues-grow ). Nel 2008, lo stipendio aggregato di chi ha un reddito superiore ai 50 milioni di US$ è stato di 91.2 milioni di dollari. L’anno scorso, lo stipendio aggregato per la stessa categoria è salito a 518.8 milioni: i 74 americani più ricchi, che hanno un reddito superiore ai 50 milioni l’anno, guadagnano quanto 19 milioni di americani che hanno il redditominimo. Allo stesso tempo, le imprese globali ci ricordano che stanno ottenendo buoni profitti nonostante la crisi. Secondo la stessa fonte citata precedentemente, se le imprese di Fortune 500 fossero un’unica nazione, nel 2010 sarebbero state una delle economie che crescono più in fretta, con un tasso di crescita più alto sia dell’India che della Cina. Prima o poi, nuove pratiche, obbligatorie o volontarie, per introdurre una redistribuzione più equa dei redditi dovranno essere incorporate nei codici di condotta responsabile di un’azienda, come parte del nuovo contratto sociale.
  9. Viviamo in un mondo multipolare.
    L
    a crisi, alla fine, ha rivelato un nuovo tratto cruciale: viviamo in un mondo multipolare in cui i paesi emergenti consolideranno sempre più la loro presenza e il loro potere di decision-making. Ciò porterà a nuovi accordi globali di governance multilaterale, sia a livello economico che a livello politico. Non è un’illusione pensare che siamo già alla soglia di un nuovo accordo monetario internazionale che ancorerà il sistema a un paniere di valute, e non solamente al dollaro. Questo nuovo sistema dovrebbe anche tenere a freno le operazioni internazionali delle istituzioni finanziarie di investimento privato e i loro eccessi speculativi. Ma questo nuovo multilateralismo non rappresenterà necessariamente una situazione confortevole per chi, come noi, vive nell’epicentro della globalizzazione: India, Cina, Brasile o Russia potrebbero avanzare idee e suggerimenti che non troveremmo molto familiari.
  10. E viviamo su un pianeta affollato.
    L’ultimo e inevitabile nuovo tratto della realtà attuale è che ci sono altre crisi, meno citate ma probabilmente più rilevanti sul lungo periodo. Negli ultimi 10 anni ci siamo anche resi conto che viviamo su un pianeta affollato (Jeffrey Sachs) e che i quattro pilastri della crescita umana – cibo, acqua, energia e clima – sono sotto costante e crescente stress, e ci sono periodiche ristrettezze nella loro disponibilità: insieme alla minaccia costituita dal cambiamento climatico, ci sono oltre un milione di esseri umani che rischiano carestie e malnutrizione, oltre 1.2 miliardi non hanno accesso all’acqua potabile, oltre 1.8 miliardi non hanno accesso all’elettricità.  Queste cifre sono il preludio delle crisi di cibo, acqua, energia e sicurezza climatica che si erificheranno nel futuro. La necessità di un paradigma della sostenibilità che riguardi le infrastrutture, le comunicazioni e gli stili di vita sarà alla base degli investimenti pubblici e privati nei prossimi decenni.

Il contratto sociale è l’accordo implicito della cittadinanza sul governo della società. Va oltre ciò che è legale per entrare nella sfera di ciò che è legittimo. Per ciò stesso racchiude la legittimità morale degli standard e dei valori di governance. Nonostante il contratto sociale alle origini (Hobbes, Locke or Rousseau) enfatizzasse gli aspetti puramente politici della coesistenza pacifica nella società, nella sua versione prevalente del 21esimo secolo (Rawls) questo si estende nel reame della giustizia sociale e dell’equità. Se colleghiamo i puntini considerando le 10 nuove caratteristiche definite fino a questo punto, otteniamo l’immagine dello squilibrio e delle tensioni collegate alla nozione di un nuovo contratto sociale.

  • L’aumentato soft power della legittimità dei cittadini e del loro potenziale intervento negli affari pubblici è in contrasto con una limitata partecipazione civica nell’agenda pubblica, con una democrazia che permette solo la partecipazione elettorale della cittadinanza. Nella ricostituzione del contratto sociale, le politiche necessitano di nuovi accordi sulla responsabilità e di nuovi canali per la partecipazione civica, le decisioni e l’espressione del dissenso.
  • La nascita della consapevolezza civica globale e la riflessività sono in contrasto con l’inclinazione nazionale delle politiche e richiedono anche una nuova spinta verso una governance globale intelligente e multilaterale. Il nuovo contratto sociale deve avere una dimensione globale/locale e la gestione effettiva dell’agenda globale (multilateralismo, canali di sviluppo e la gestione accorta delle risorse naturali) è parte integrante della legittimità di un nuovo contratto sociale.
  • La nascente capacità di intervento dei cittadini attraverso i social media rende insopportabili, sul lungo periodo, sia la tendenza alle disparità di reddito che il potere incontrastato delle istituzioni di investimento finanziario: queste sono le maggiori fratture nel tessuto del contratto sociale che necessitano di essere riparate.
  • Infine, il patto del business con la società dovrebbe diventare un aspetto cruciale del nuovo contratto sociale, in un’era in  cui le corporation sono diventate i proprietari del potere globale. Ciò spiega perchè, di tutti i termini usati per descrivere un comportamento aziendale appropriato, la nozione di corporate citizenship, che si riferisce ai diritti e agli obblighi delle imprese nei confronti della società, sembra la più calzante. Pensare alla corporate citizenship come parte del nuovo contratto sociale ha tre implicazioni importanti:

    a) La legittimità delle aziende nel 21esimo secolo è ottenuta incorporando le preoccupazioni sociali, ambientali e di governance nella strategia e nelle operazioni dell’azienda. Le imprese che si comportano come corporate citizen massimizzeranno i loro diritti aggiungendo nuove opportunità di creazione di valore, e avranno più strumenti per soddisfare i propri obblighi e le proprie responsabilità attraverso un approccio più intelligente alla gestione del rischio.

    b)  Secondo, la corporate citizenship quale parte di un nuovo contratto sociale punta al bisogno di allargare la nostra comprensionen della responsabilità sociale delle aziende nel 21esimo secolo, per includere problemi importanti nelle società in cui operano, come la prospettiva di una redistribuzione degli utili e la nozione di una “resistuzione alla società” strategica, quali interessi importanti per l’impresa legittimata.

    c)    Terzo, la nozione di corporate citizenship come un aspetto del nuovo contratto sociale sottolinea la necessità che le imprese operino come cittadini globali e risolutori di problemi globali, in termini di problematicità che inibiscono lo sviluppo, i Millennium Development Goals e la necessità di collaborare in sistemi di governance globale intelligenti. In questo senso il concetto ha una chiara aspirazione sottintesa, visto che le imprese non hanno ancora generato impatti significativamente positivi che riguardino alcune sfide cruciali nell’agenda globale.

Nonostante alcuni pensino che il contratto sociale possa materializzarsi esplicitamente negli accordi costituzionali di una società (e infatti il concetto è stato citato nella Dichiarazione di Indipendenza dei Padri Fondatori negli USA), nondimeno per la maggior parte degli intellettuali è un tacito accordo fra la società e i poteri. Riflettendo su questa caratteristica implicita del contratto sociale, Philip Pettit asserisce che “l’assenza di una ribellione efficace contro il contratto è l’unica legittimità di questo”.

La dichiarazione accademica di Petit diventa, ai giorni nostri, un avvertimento intimidatorio: abbiamo visto molte ribellioni negli ultimi 6 mesi, e potrebbero segnalare la necessità di ripensare il contratto sociale esistente.

Per leggere l’articolo originale di Manuel Escudero clicca qui

2 commenti su “10 motivi sul perchè la CSR deve essere ancorata ad un nuovo contratto sociale”

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