Unione Europea e Imprese: la difficile costruzione della green economy

Lo scorso giugno si è svolto a Bruxelles l’annuale European Business Summit (EBS). Questa edizione si è concentrata sulla posizione dell’Europa nel contesto dell’economia globale, cercando di mettere in luce quali sono le aree in cui l’Europa resta indietro e quali sono le opportunità di business che potrebbero permetterle di riguadagnare una posizione principale.

Gli intervenuti all’incontro hanno reso noto come le sfide globali, quali la competizione proveniente dai mercati emergenti, il cambiamento climatico e la scarsità di risorse naturali, mettano l’Europa in una posizione di svantaggio, tanto più se si considera che la crisi ha congelato la crescita di molti paesi dell’Unione, il che ha indotto una diminuzione della produzione industriale e un aumento dei livelli di disoccupazione.

Data questa diagnosi, la cura intravista dai decision maker europei parte da un semplice presupposto: nonostante l’Europa resti l’esportatore maggiore al mondo, ha comunque l’opportunità di essere un leader nel mercato mondiale, a patto che si persegua una crescita sostenibile verso e oltre il 2020. Questa crescita dovrebbe basarsi sulla conoscenza e sull’innovazione e dovrebbe fondare un’economia verde competitiva, che promuova alti livelli di occupazione e che permetta all’Europa di competere a livello globale.

La fondazione di un nuovo paradigma economico verde impone innanzitutto politiche riguardanti i tagli alle emissioni di gas serra, oltre l’attuale obiettivo del 20% previsto per la fine di questo decennio. Oltre a porre le basi per il prosperare della green economy, un aumento dal 20 al 30% aiuterebbe a mitigare il cambiamento climatico e proteggerebbe l’Europa da eventuali futuri aumenti del prezzo del petrolio(1).

Il raggiungimento di un tale obiettivo catalizzerebbe gli investimenti nella green economy, il che a sua volta porterebbe nuovamente l’Europa a competere con le altre realtà economiche a livello globale. A maggior ragione se si considera che i competitor in China e in USA hanno già profuso ingenti quantità di denaro in investimenti nelle tecnologie pulite e stanno guadagnando una leadership significativa in questi settori emergenti.

In quest’ottica, i legislatori europei devono considerare innanzitutto le imprese. Per uscire dalla crisi e dal vecchio paradigma economico è necessario, infatti, costruire un ambiente favorevole a queste,  permettendo loro di produrre beni e servizi di livello superiore, creare lavoro e sviluppare nuove tecnologie. A tale fine, al meeting, si è cercato di formulare raccomandazioni concrete per agire, concordate dai rappresentanti delle aziende e dai decision maker istituzionali, per porre l’Europa nuovamente in primo piano(2).

In questo contesto, Greenpeace ha colto l’occasione per chiedere apertamente alle principali imprese europee di supportare azioni più ambiziose in tema di prevenzione del cambiamento climatico. Eppure, nonostante le prospettive occupazionali ed economiche scaturenti dal consolidamento di un percorso volto alla costituzione della green economy bastino a creare un business case convincente anche per quanto riguarda il potenziamento degli obiettivi climatici, esistono alcuni attori all’interno della comunità del business che preferirebbero inibire la spinta europea verso l’economia verde.

Secondo Reuters, i detrattori rappresentano la fazione all’interno della comunità del business che teme l’abbassamento della soglia di produzione delle emissioni di gas serra all’interno dell’attuale contesto economico, che rimane alquanto critico, poiché alcune grandi industrie (quali ad esempio le industrie pesanti) temono che i costi comportati da un ulteriore innalzamento ai tagli delle emissioni non siano ammortizzabili e si traducano in un danno ingente.

Secondo Greenpeace, chi contrasta il climate target lo fa assumendo lobbisti o costituendo associazioni con il chiaro intento di sabotare i nuovi obiettivi climatici. E infatti, i decision maker europei sono stati “invitati” a non agire da un piccolo gruppo di aziende che dominano l’agenda del lobbying a Bruxelles. Anche per questo, l’Organizzazione ambientalista ha chiesto al Presidente Sarkozy e alla Cancelliera Merkel di prendere parte al dibattito e di forgiare un accordo sulle ambizioni climatiche aumentate(3). Se, chiaramente, i nuovi obiettivi climatici europei devono confrontarsi con un manipolo di motivati detrattori, è altresì vero che la comunità del business ospita anche numerosi sostenitori; infatti, oltre 100 grandi aziende europee hanno accolto positivamente l’innalzamento al 30% del climat targer entro il 2020. Il numero è aumentato di circa 60 unità da maggio, quando Greenpeace ha sottolineato la spaccatura all’interno della comunità del business sorta intorno a questa questione e ha invitato gli attori che ancora non avevano preso parte al dibattito a fare sentire la propria voce.

Intanto, nel mondo, i governi osservano e aspettano di vedere se gli obiettivi europei verranno effettivamente innalzati prima dei negoziati dell’ONU sul clima in Sud Africa, che si terranno il prossimo novembre. Nel frattempo, la bontà dell’istanza a favore di un inasprimento dei tagli delle emissioni di gas serra è stata confermata da un autorevole studio del governo tedesco, che ha concluso che un taglio del 30% delle emissioni di gas serra può aumentare le nostre chance di prevenire cambiamenti climatici pericolosi, stimolare gli investimenti nella green economy europea e aumentare il Pil europeo di 620 miliardi di euro entro il 2020(4).


(1) Si veda “Seven EU Ministers push for deeper CO2 cuts”
(2) Si veda “Europe in the world: leading o lagging?”
(3) Si veda “Split in business community deepens over EU climate effort”
(4) Si veda “Greenpeace activists challenge businesses to be climate leaders”

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